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Che cos'è la sinistra?

15/6/2008

Siamo divisi e sembriamo meno di quelli che siamo, siamo sfiduciati e diamo l’impressione che davvero il berlusconismo sia ormai il nuovo “ismo” della storia, un paradigma comune nel quale si declinano le politiche di questo millennio.

Confessiamolo, da un po’ di tempo, da quando ci siamo seduti nelle stanze del potere, il parolaio che è in noi ha avuto il sopravvento sul militante. È bastato un posto di assessore in qualche giunta, una vicepresidenza, assegnata a qualcuno dei nostri (e non è detto che sia stato poi il migliore fra noi) a farci recedere da quello che era la nostra vera forza: stare nella società, essere la società. Quando non si gestisce il potere non si raggiunge il 30% dei consensi per caso o per simpatia, come seppe fare il Pci, ma con il 30% si governa anche dall’opposizione, l’Italia è diventata più civile, più moderna, si è emancipata. 

Ieri la sinistra, pur con quel 30%, non aveva l’urgenza di occupare i posti di potere: i nostri dirigenti erano più preoccupati di condizionare la formazione delle leggi che di occupare un posto da sindaco; erano soddisfatti e cantavano vittoria quando riuscivano a far confezionare uno statuto dei lavoratori che rispondesse al miglioramento delle condizioni di vita nelle fabbriche e sui posti di lavoro, per esempio. 

Allora oggi si riparte dal niente.

Si riparte dal bisogno del mio compagno di lavoro o del mio compagno di banco. 

Non può essere quella di costruire la sinistra un’operazione di vertice: il bisogno di sinistra c’è nelle istituzioni se c’è un popolo di sinistra. Il PDL e, se permettete, anche il PD, c’è nelle istituzioni perché c’è nella televisione, questi partiti non esistono in natura sono un format televisivo: diversamente da quel che accade per la sinistra che non può essere e non sarà mai un prodotto televisivo. 

La sinistra esiste nelle istituzioni in quanto i vertici sanno parlare il linguaggio di coloro che frequentano le sezioni, ma quando le sezioni  si sono trasformate in piedistalli per gente malriuscita in altri mestieri le sezioni alla fine si sono svuotate. 

Invece queste devono essere luogo di incontro, di scambio, di contaminazione fra intelligenze l’intelligenza dell’intellettuale e l’intelligenza del manovale. La sinistra nella nostra storia è stata contadina e operaia, proletaria sì, mai stupidamente rozza e populista, ma  raffinatamente riflessiva. 

Ciò perché la sinistra non è stata mai “io”: la sinistra è esistita fintanto è stata “noi”,  quando è diventata “io” , come ad Alliste, è diventata appiattimento dialettico, genericità, carrierismo, ed è lì che ha cessato di battere strade nuove ed è in quel momento che ha cessato di essere progressista. 

Quando è diventata generica ha dato l’idea della conservazione, tanto da far apparire progressisti i conservatori. 

Se posso andare giù duro, direi che nel secolo scorso, nel ’68, la minigonna era il simbolo di intellettualità, oggi è il simbolo di un frustrante voyerismo tanto in chi mostra quanto in chi guarda, se non addirittura malcelata pornografia. 

Immaginate quarant’anni fa cosa significò per la donna occidentale liberarsi dai veli che la ricoprivano (ha ragione la Sgrena), certo un velo diverso dal burca o dallo chador, ma sempre di velo si trattava. E prima di togliersi quel velo doveva fare un percorso intellettuale di liberazione, anche se femminista non lo era e non lo sarebbe stata mai. 

È possibile, io mi chiedo, che la mia generazione (quella del 77) e quella precedente alla mia (quella del 68), generazioni che hanno tolto parecchi veli alle ipocrisie della società che contestavamo, non siano riusciti a gestire quello che una generazione di contadini e operai, che magari non sapevano nemmeno firmare, è invece riuscita a ottenere? Quella generazione che aveva più dimestichezza con i cavalli che con le automobili, riuscì a superare la DC. Oggi con il nostro pullman superaccessoriato siamo riusciti a rimanere senza benzina su un ponte pericolante, che ancora non è caduto (almeno così voglio sperare), un ponte che se cadrà quel lucente aeroplano chiamato PD renderà superfluo ricostruire. Tuttavia benché pericolante siamo ancora sul quel ponte e invece di spostarci stiamo ancora litigando, scaricandoci l’un l’altro la colpa per non aver fatto benzina. 

I segnali che vengono dalla strada al momento non so come interpretarli: non so se, nonostante la efferatezza della ragazzina quattordicenne buttata nel pozzo dai suoi coetanei, piuttosto che il rogo del campo nomadi di quella squallida periferia napoletana che è Ponticelli, possano essere il segno di un bisogno di sinistra o il suo funerale cioè l’anticamera di quella società descritta nel film Nirvana da Salvatores. In questo caso vuol dire che il ponte è già caduto. Ma se è vero che “dal letame nascono i fiori”, non vedo momento migliore per questo popolo confuso, per queste generazioni che hanno versato anche sangue per conquistare quei diritti minimi di una società civile, penso all’art 18, penso alla 194, penso alla 180, penso al divorzio,  penso al diritto al periodo di puerperio, penso alla 104, penso alle rappresentanze sindacali sui luoghi di lavoro, penso alla democrazia nelle scuole, penso all’abolizione della scuola di classe, oggi fra l’altro posta fortemente in discussione, e molte di queste conquiste nell’America, esempio di democrazia, almeno così dicono, non esistono.

Compagni, nessuno, forse com’è giusto che sia, ci prenderà per mano e ci guiderà nella terra promessa. Sta a noi costruire un processo di unità che parta dal basso. Il tentativo degli stati generali della sinistra convocati a Roma a dicembre dell’anno scorso, con i quattro comizietti finali dei leader, tenutisi in rigoroso  ordine di importanza parlamentale, si sono rivelati per quello che erano, quattro comizietti, appunto. Alla prima, anche se eclatante difficoltà o sconfitta cocente si sono squagliati, e piuttosto che impiegare il loro tempo a capire gli errori, perdono il tempo a dividersi sui simboli: se fosse così facile dare una risposta alla crisi della sinistra, se fosse solo una questione di simbolo avremmo risolto tutti i nostri problemi. 

Dopo la scomparsa delle grandi personalità della sinistra è prevalso il nanismo politico, che spesso si è trasformato in onanismo politico sulla canzone da cantare o sul simbolo da usare. Ma pensate voi se Marx avesse pensato prima al simbolo e poi a scrivere le sue opere di critica alle brutalità della società capitalistica.

La stagione dei movimenti e dei girotondi, come la poderosa manifestazione dei tremilioni contro l’abrogazione dell’art. 18  è stata l’occasione mancata per costruire la sinistra unita, e anticipare, e forse svuotare, il progetto fratricida del PD: ma quella domanda di unità non è bastata ai nostri capetti per avere quello scatto di reni che solo i leader possono avere.

Successivamente, la seconda volta di Prodi,  la sinistra non è riuscita i ad elaborare una strategia per salvare quel governo da un lato e dall’altro  riuscire a far capire al popolo della sinistra che così era giusto, perché, nel dato momento storico, quello era il punto di equilibrio politico più avanzato al quale che le forze della sinistra potevano tendere, oltre ad essere l’unico governo decente possibile per l’Italia, perché PD o non PD a metà del guado, non solo Berlusconi, ma il berlusconismo avrebbe stravinto come in effetti è stato.

Gli slogan “vogliamo tutto e subito” oppure “siamo realisti, chiediamo l’impossibile”, slogan peraltro a me cari, perché positivi, non possono tradursi, se vogliamo lottare per seguire le linee politiche tracciate da quegli slogan stessi, “buttiamo all’aria tutto e subito”, come invece abbiamo fatto. 

Senza bisogno delle ricerche del CENSIS o di Piepoli, noi che siamo nelle piazze, che parliamo con le casalinghe, sapevamo che  Prodi e il suo governo erano considerati il principio di tutti i mali.

Il giudizio degli elettori sull’azione di governo oggi non è quello che può emergere dagli atti parlamentari, ma quello che vogliono le televisioni, il quinto potere. 

E allora: What is left?

La sinistra è il governo dei molti contro il governo delle oligarchie; la sinistra è la carta dei valori e la scala delle necessità di un popolo che deve vivere civilmente, nutrirsi, istruirsi, curarsi, che deve estirpare le pulsioni razziste e perseguire l’obiettivo della fraternità. 

La casa della sinistra è un luogo bellissimo, ma lontano, difficile da raggiungere; la sinistra è un orizzonte che si sposta man mano che l’umanità avanza. Tuttavia in questo lungo percorso ci sono delle tappe intermedie da raggiungere con delle piccole casette, che ci permettono di prendere fiato un attimo,  che nel corso di questi anni abbiamo raggiunto, come la giornata lavorativa di 8 ore, l’istruzione primaria gratuita e obbligatoria, come le cure mediche gratis e via discorrendo. Oggi anche queste casette sono pericolanti, se non addirittura demolite: è vero c’è bisogno di un capomastro che diriga i lavori di costruzione, ma il capomastro nulla può se non ci sono gli operai, e, cari compagni, gli operai  siamo noi.

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