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Alliste: la “Ville lumiere”

6/6/2010

Venezia mi ricorda istintivamente Istanbul”, era l’incipit di una bella canzone di Battiato. 

Anche Alliste oggi ricorda qualcosa altro, non sembra un paesino del sud, non sembra nemmeno un paesino dell’Italia. 

Intorno alla metà degli anni sessanta vi fu certo fermento, come nel resto dell’Italia. La storia economica lo definisce il periodo  “boom economico”. Anche oggi sembra che Alliste stia vivendo un “boom”.

L’Italia in quegli anni sfiorò la piena occupazione delle risorse produttive. I contadini del sud, quindi anche quelli di Alliste, furono riconvertiti in operai nel nord. Così, con un’inflazione che non raggiungeva nemmeno l’1%, chi poteva contare su uno stipendio disponeva di un’entrata sicura che gli consentiva di pianificare il futuro. Coloro che erano emigrati all’estero rifornivano di valuta pregiata il paese che, nel giro di nemmeno dieci anni,  si trasformò. Immediatamente le “chiasure” si divennero lotti edificatori che accoglievano delle villette. Si innestò, in quell’epoca, un circolo virtuoso. Poiché  si era abituati a tirare la cinghia,  dicevano gli allistini, per le spese correnti – vestiti, pane – “facciamo finta che non è cambiato niente e tutto quello che abbiamo in più lo investiamo”. Ovviamente l’investimento principe  era l’abitazione. A tutto ciò, con i buoni auspici della DC, si aggiungevano le pensioni – più o meno fasulle, ma era un segreto di pulcinella – che avevano una funzione risarcitoria del mancato decollo industriale, agricolo e turistico del sud, perché, da un lato, l’industria del nord aveva bisogno di manodopera, dall’altro, si puntava sullo sviluppo capitalistico delle aziende agricole del centro nord.  Comunque quel  benessere aveva un sostrato economico certo e vero.

Quali erano le variabili all’origine del benessere del decennio iniziato nel 1962 e interrotto con il primo shock petrolifero del 1973? Cercando di ricapitolare: il contadino diventa operaio nel triangolo industriale del nord Italia, oppure, più spesso nell’Europa; trasferimenti statali (pensioni di invalidità, data a persone che erano capaci di spaccare le pietre); lira stabile sul mercato dei cambi; bassa inflazione; bassa propensione al consumo (spese correnti certamente al di sotto di quello che era consentito), compensato da un’alta propensione al risparmio, cioè all’investimento; alta scolarizzazione (non si aveva più bisogno che i figli lavorassero e si poteva investire per un diploma o una laurea).  A tutto questo c’è da aggiungere un dettaglio non da poco: i disavanzi dei comuni erano finanziati dallo stato, per cui la spesa era totalmente svincolata dalla capacità di imporre imposte locali. Tutto questo agiva in maniera determinante su un altro indice la “fiducia del consumatore”. Il cittadino di Alliste, uscito dalla logica della sussistenza, vedeva un futuro rosa. Ma, nonostante tutto ciò, non vi era alcun cedimento al minimo della civetteria. Tutto molto austero e misurato.

Ma torniamo ai nostri giorni. Alliste, da qualche anno a questa parte, non è più la stessa. Partiamo dalla “seconda repubblica”. Il centro-sinistra nacque  nel 1997 e morì nel 2005. Però nacque con i migliori auspici. Dare regole certe al paese; una legge uguale per tutti; sconfiggere un ceto politico vecchio e incapace di andare oltre i semplici modi di governare legati agli schemi del consenso procurato secondo i canoni della DC. Se a questo si aggiunge qualche donna,  qualche giovane e D’Alema che passeggiava tranquillamente per le strade del paese il quadro era completo. Tuttavia, qualcuno si rese conto che forse era meglio se il consenso lo si otteneva senza poi dare tanta retta alle regole che si era volute adottare, perché richiedeva meno fatica, consentiva di vivere di rendita, non poneva problemi di confronto. Meglio come faceva la DC, pensò qualcuno, mica erano fessi quelli. La New Age e la Vecchia Anima della sinistra, quella un po’ fissata con i principi, insomma quella alla Berlinguer, andarono in conflitto ed il resto è cronaca d’oggi. Iniziò così un periodo buio in cui le iniziative non avevano né capo né coda, perché fare come faceva la DC non era così semplice come si pensava, anche per fare quelle cose ci voleva talento. Fu così che il centro-sinistra fece harakiri.

Passato, dunque, quello che i più giudicano un periodo buio, né più e né meno come quelli precedenti, oggi questo paese sembra essere  rinato a nuova vita: il tempo ad Alliste, si è detto, “è cominciato a scorrere”. Ma se il “boom economico” degli anni ’60 del secolo scorso era poggiato sulle basi economiche sopra descritte, oggi su quali basi poggia questa nuova vita di Alliste, considerando  la preoccupazione che emerge dalla lettura di alcuni  indicatori (consumi – istruzione – risparmio – movimenti demografici e altro)?

Secondo i dati ufficiali del 2005, facendo la statistica dei polli, il reddito pro-capite di Alliste si aggirava intorno ai 2000,00 euro all’anno.

Su un totale di 4167 contribuenti:

582 persone dichiaravano redditi lordi al di sopra dei 10.000,00;

540 persone dichiaravano redditi compresi fra 9.999,00 e 5.000,00 euro;

780 persone dichiaravano redditi compresi fra 4.999,00 e 1.000,00 euro;

349 persone  dichiaravano redditi compresi fra 999,00 e 1 euro;

1916 persone non dichiaravano redditi;

tenendo presente che fra coloro che sono al di sotto della soglia di povertà si possono rinvenire molti “volti noti” dell’attuale classe dirigente.

Questo è quello che ci dicono i dati ufficiali prima che la crisi si abbattesse come uno tsunami sulle nostre teste.

Se così stanno le cose, senza riferirci a indicatori, che potrebbero essere roba per addetti ai lavori, immaginiamo di fare questa semplice domanda alle persone che ci sono dietro quei numeri: come vedi il futuro? Oppure: come fai ad arrivare alla fine mese?  Con questi dati ognuno  può capire quale è la risposta.

Questi dati ci dicono, tuttavia, che le famiglie hanno un’altissima propensione al consumo e che è impossibile non ricorrere all’indebitamento per acquisire beni di prima necessità. I soldi se ne vanno via in spese correnti e, per converso, vi è  una bassissima o nulla propensione al risparmio e quindi all’investimento, che determina il modo nel quale vivremo nel futuro. Cioè, se non risparmio non investo, perché quanto ho non mi basta nemmeno a coprire le spese che devo fare per sopravvivere. Questo significa che domani non so cosa metterò in tavola. Non è un modo rosa di guardare al futuro, anzi è più nero della notte! La cassa integrazione, cui le “imprese” nostrane hanno fatto ampio ricorso, è il regolare e provvisorio modo di sbarcare il lunario per gran parte degli ex operai che fino a qualche anno fa avevano un lavoro in una fabbrica, magari sottopagati, ma comunque assicurati, malattie pagate, perfino con qualche contributo a fini pensionistici versato all’INPS.

È vero, siamo un po’ ancorati a certi valori e noi dalla lettura di quei dati, che ci restituiscono la  realtà nella quale viviamo, avremmo trovato un motivo in più per riscoprire il senso della  sacralità del Natale. Proprio questo avverso periodo economico rafforza in noi la convinzione di quanto più equa e meno volgare è la sobrietà.

Noi non siamo nel solco di coloro che avrebbero mai ceduto a definire Alliste “la città delle patate” o "la città dell’olio”. Eppure, per decenni, le prime e, per secoli, il secondo hanno consentito ai nostri avi di vivere, bestemmiando magari, ma comunque di vivere. Perché? Ma perché la fragilità delle strutture economiche su cui si basavano e si basano tutt’ora quelle colture, unitamente alle scelte di politica comunitaria degli anni ’50, ci facevano capire che dalla sopravvivenza non si sarebbe mai usciti. Tuttavia non vince le elezioni chi non dà sfogo a tutta la sua piaggeria. Un esempio della distorsione della realtà lo si ha quando qualcuno arriva a definire una città come la  “città delle calze”! Mah! Ritorna alla mente Sanremo, “la città dei fiori”, piuttosto che la “Siena – Greve” detta “la strada del chianti”.  Ma questi sono atti che rappresentano un altro “indice”: quanto la classe politica capisce o non capisce la società in cui opera.  

Fino a qualche anno fa questo comune non riusciva a reggere il confronto con la città confinante, diventata, improvvisamente, una sorta di Las Vegas “de noiartri”. Sfavillio e strade ingorgate dal traffico, per godersi il concerto di  Al Bano piuttosto che dei Matia Bazar, erano la manifestazione esteriore più evidente di capacità politica e amministrativa. Oggi quella città non ha nemmeno i fondi per esporre un piccolo lumicino per celebrare il Natale e, siccome nobili decaduti, indossa vecchi abiti di costosa seta, ma laceri e sdruciti. Le calze, se ci sono, sono invendute,  oppure triangolate dai paesi sottosviluppati e marchiate italiane. Ovviamente l’El Dorato delle calze è finito, non riuscendo “la città delle calze” a vincere la concorrenza al ribasso di altri e più miserabili paesi. La gente è a spasso e aspetta solo che decorrano i termini della cassa integrazione per piombare nel baratro.

È  vero, qualche anno fa la luminaria natalizia approntata dal nostro comune era oggetto di scherno in consiglio comunale. Sicuramente chi, fra i consiglieri, irrideva e commentava con ironia la pochezza di quegli addobbi si faceva interprete di un qualche pensiero che comunque serpeggiava fra i cittadini e qualcuno in piazza ne faceva un gran parlare e creava un caso politico.

Ma noi, "gente di poca fede", ci poniamo queste domande:

può un politico inseguire le voci della strada?

se le luminarie natalizie risolvono qualche problema, quali sono questi problemi e soprattutto di chi? non è poco cattolico e, come dire, molto pagano ciò che assume un evento religioso per orgiastiche ubriacature di luci e anche oltre?

è solo questo il modo di festeggiare Chi si è fatto uomo per redimere i peccati del mondo?

con questi mezzucci si compiace di più Chi perderà la forza delle gambe, che non lo reggeranno più sulla croce,  perché la plebaglia, mentre gli dava da bere aceto, con grosse mazze gli picchiava sugli stinchi per spezzarli in modo che il corpo si afflosciasse e rimanesse soffocato? 

A queste domande, la cui risposta è semplice, rimaniamo attaccati ogni volta che questo paese si  trasforma nella “Ville lumiere: la delibera della Giunta comunale Alliste 164 del 2009.

Il nostro, o meglio, il loro è un modo tutto “italiano” di essere cattolici. Pronti a battersi il petto quando vedono il Papa, pronti a chiedere che Wojtyla diventi santo subito, ma dimentichi delle parole che dalla finestra di Piazza San Pietro ha spesso ripetuto: il capitalismo ha declassato tutti i valori, per questo non è il migliore dei mondi possibile.

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