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Comune di Alliste. Dalla demolizione del centro storico, alla distruzione di alberi d'ulivo secolari e alla deturpazione del Canale della Torre.

I segni indelebili delle nostre amministrazioni comunali

28/6/2014

Da circa un quarantennio a questa parte, ho bene in mente le vicende amministrative del Comune di Alliste. Ognuna di queste ha lasciato segni indelebili, non cancellabili o non ripristinabili. Hanno tolto e hanno messo ciò che non si può più rimettere a suo posto e ciò che non si può più togliere o, se si toglierà,  lo si potrà fare a caro prezzo o lasciando un segno a sua volta indelebile, se e quando la natura deciderà di vendicarsi.

C’è ancora chi ricorda quel sindaco che ha “fatto” il cimitero, o asfaltato alcune strade. Come se questo non fosse la “normale amministrazione” di un’amministrazione comunale.

Fare questa carrellata di disastri amministrativi non suscita alcun senso di contentezza, ancorché atti ascrivibili , per la maggior parte, ad amministrazioni avverse al mio pensiero politico. Invece suscita un senso profondo di amarezza per quello che qualcuno non potrà vedere mai; per la irreversibile cancellazione delle vestigia della storia e vivere senza i segni della propria storia è una vita animalesca. Una società non si evolve senza la memoria della sua storia. Vive il territorio come bene di consumo e non come risorsa da conservare, da custodire, da mettere in sicurezza.

Ed è stato per questa colpevole insipienza che chi è nato ad Alliste dopo la seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso non sa che nell’area antistante il Municipio di Alliste vi erano le case che delimitavano il nucleo originario del nostro paese; che proprio di fronte all’attuale ufficio postale vi era il “Seggio”, porta di ingresso ad Alliste e luogo dove si svolgevano i Consigli comunali, chiamiamoli così, dell’epoca. Tutto  raso al suolo nel volgere di una notte, in prossimità della festa del santo patrono. Non sa, chi è nato dopo la seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso che, laddove oggi si sviluppa l’ufficio tecnico fino ai vigili urbani, corpo unito al municipio dall’attuale sala consigliare, vi erano le abitazioni del popolo di Alliste che, da un lato, si affacciavano in Piazza Terra e, dall’altro, un vicolo le divideva dalla cosiddetta “arciprevatura”, il cui portone d’ingresso è in via “Le croci. Non sa, chi è nato dopo la seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso, che i palazzi settecenteschi che corrono lungo il lato est di Via Piazza erano parte delle mura di Alliste che racchiudevano anche la più antica chiesa di Alliste, quella di San Giuseppe essa stessa edificata sulle mura nel tratto dell’attuale via 24 Maggio a nord.

Un sindaco decise che tutto questo doveva lasciare il posto alle giostre e ad un mercato coperto che oggi è occupato da uffici comunali: la storia? Non ci risulta!

Decise anche, quell’amministrazione, forte dei poteri di variare i piani urbanisti, ed infischiandosene, oltre che della complessa situazione idrogeologica, anche di preservare il suggestivo colpo d’occhio che poteva offrire il declivio della collina, che delimita la pianura di Alliste ad ovest, che in Masseria Catrini si potesse costruire, cementificare con degli opifici agricoli in nome di quel “bene supremo” che è il lavoro, passepartout usato da tutte le amministrazioni comunali per fare favori agli amici, ma l’agricoltura ad Alliste è andata di male in peggio.

Diverse, invece, sono state le amministrazioni che hanno dato il loro contributo al dissesto economico-finanziario del nostro Comune. Sèguito di una stagione in cui le amministrazioni comunali venivano rimborsate a “piè di lista” e la pianta organica del Comune di Alliste prevedeva occupazione per 150 persone, tanto che un vicesindaco durato in carica a vita, esclamò compiaciuto: “Ma come faremo a spendere tutti questi soldi?” La domanda si rivelò beffarda  e foriera di nefaste conseguenza. Quel vice-sindaco non saprà mai che il Comune fu costretto a vendere all’incanto e a prezzo vile, magari ad acquirenti ben informati, beni mobili ed immobili di proprietà del comune e ad aumentare al massimo previsto dalla legge tributi e imposte locali. La procedura del dissesto inizio agli inizi del 1990 e finì nel 2000.

Gli anni compresi fra la fine del 1980 e la metà degli anni ‘90, furono anni di agonia e di un grigiore ineguagliabile. Alcuni amici toscani, che in uno di quegli anni trascorsero qui le vacanze estive, ancora ricordano il Presepe sulla collina acceso a ferragosto. Anni dopo ho appreso che, per poter accedere ad un finanziamento di “attività culturali” previsto dalla Regione, si superò il senso del ridicolo, appunto, accendendo il presepe a ferragosto.

Finalmente a cavallo degli anni 2000 vi fu un’amministrazione che riuscì ad approvare un Piano regolatore generale. Storico traguardo mai raggiunto prima. Ma per non essere da meno rispetto alle precedenti, la stessa amministrazione si premurò di approvare una variante, quando ancora la Regione doveva dare il definitivo placet: il troppo ordine stabilito nel piano regolatore non era gradito a qualcuno molto in vista del paese.

Nell’epoca della legge dell’asso pigliatutto, l’attuale amministrazione in termini elettorali ha superato due record: con miglior minor numero di voti prese i tre quarti dei seggi, le altre tre liste che sommarono il 64% dei consensi degli allistini si dovettero accontentare di non contar nulla.

Tuttavia quella miglior minoranza, riuscì “lavorare” ai fianchi fino ad annullare tutte le resistenze e alla fine ha assommato tutto e tutti, quasi tutto e tutti. Un minimo di dissenso è rimasto. Minimo ma vitale, tale da essere sempre  oggetto di attacchi esterni, ma anche interni.

Anche questa maggioranza lascerà segni indelebili. Le opere di questa maggioranza sono scandite dal numero di alberi di ulivi secolari che ogni anno vengono bruciati su un terreno di qualche ettaro appena fuori dal centro abitato sulla “Via Longa”, per la sciatteria di chi non provvede a mantenere con qualche ora di “tagliaerba” quello che è un parco ricevuto in donazione da un benefattore. Certo la persona che andrà a “far di legna” di quegli alberi lo vedrà come una fortuna, con buona pace di tutti coloro che domani non potranno mai sapere che quella proprietà era tutti, perciò terra di nessuno.

È la stessa sciatteria di chi ancora non riesce a capire che quell’orrendo serpente di un costosissimo terriccio è stato messo lì dove la natura aveva invece previsto scogliera e macchia mediterranea. Le ruspe hanno ferito irrimediabilmente chilometri di costa. E, come cacio sui maccheroni, il Ponte del Canale della Torre, è crollato, il che dovrebbe essere oggetto di attenzione su chi ha omesso i controlli di un punto sensibile. Il pletorico ufficio tecnico di Alliste si è fatto crollare po’ di ponte senza accorgere. Di chi è la responsabilità di tutto ciò? Ma ovviamente del destino cinico e baro!

Come cacio sui maccheroni, sono crollati quel po’ di metri proprio oggi che quella passeggiata, che dal Veleriano termina sul versante nord del Canale della Torre (in piena curva senza visuale), proprio adesso che quella passeggiata deve continuare a violentare la costa fino alla “Cistarneddha”.

Collegare il versante nord del Canale con il versante sud del medesimo era un problema. Ma ora, grazie al destino cinico e baro, non lo è più.

Sono iniziati i lavori dell’ennesima deturpazione del territorio. Il corso della Strada Provinciale, sembra dai lavori in atto, sarà deviato sul versante Est di una voragine che molto tempo fa accoglieva il mare e quella voragine sarà piena. Intanto il vecchio Ponte del Canale della Torre, crollato come cacio sui maccheroni, permetterà di congiungere versante nord con il versante sud.

Questa ennesima azione di arroganza si sta consumando nel silenzio più assoluto, forse anche con compiacimento, di tutte le associazioni, di tutti i cittadini e degli ambientalisti. Guai ad opporsi ad una tale opera, pena l’accusa di essere contro i posti di lavoro che queste opere producono. Non si comprende quale ricaduta economica ci sarebbe per il solo fatto che persone che, per mantenersi in forma, sgambettano in luogo in cui la natura aveva voluto sistemare scogliera.

L’osservazione più logica avrebbe voluto che il ponte fosse stato ricostruito sul suo posto bonificando la voragine ad est, oggi ricettacolo di mille immondizie, e permesso al mare di rioccupare il suo posto. Ma sarebbe costato molto, si obietta. Certo, dopo aver indebitato il Comune fino a 8 milioni di euro, per opere assolutamente inutili, come le “zone 30”, creare uno scorcio suggestivo sulla nostra marina sarebbe costato troppo.

La cosa più pericolosa dell’attuale classe dirigente italiana è che non solo considerano la storia e le sue tracce come apologia del vecchio e nemica dello sviluppo, ma si sentono padroni del presente e, quel che più preoccupa, anche del futuro!

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